domenica 25 novembre 2012

La Via dei papi dalle Dolomiti alla laguna

Il turismo religioso: devozione, cultura e business scoprendo i luoghi dei pontefici nel Veneto




Il turismo religioso, tra devozione, cultura e business, entra nel Veneto e la Marca dà il tocco dell'eccellenza alla "Via dei papi", il primo itinerario proposto dalla Regione attrezzato con sentieri e piste ciclabili, che congiunge i luoghi che hanno dato i natali a tre pontefici.

Si tratta di trecento chilometri tra sentieri e piste ciclabili sullo sfondo delle Dolomiti tra Lorenzago e Canale d’Agorgo, passando per Belluno e Vittorio Veneto sino a Riese Pio X e per finire a Venezia.

L’itinerario congiunge i luoghi che hanno dato i natali ai papi veneti (Canale d’Agordo per papa Luciani, Belluno per papa Gregorio XVI, Riese per papa Sarto) o li hanno ospitati nei soggiorni estivi (Lorenzago di Cadore per papa Giovanni Paolo II) o nel loro impegno pastorale (Vittorio Veneto e Venezia per papa Sarto e papa Roncalli).

L'obiettivo è quello di conquistare il turista high-spender, il pellegrino che viaggia principalmente in bassa stagione e, come buona parte della domanda di turismo sociale, contribuisce a de-stagionalizzare le destinazioni e, quindi, a garantire i flussi nell'arco di tutto l'anno e non solo in inverto e estate.

In questa "Via dei papi", punti di forza in provincia di Treviso sono il santuario Madonna delle Cendrole di Riese Pio X, l’Abbazia di Santa Maria di Follina, l’Abbazia di Santa Augusta di Serravalle di Vittorio Veneto, il santuario Madonna Granda di Treviso, il santuario Madonna del Caravaggio di Fanzolo di Vedelago, il santuario Madonna dei Miracoli di Motta di Livenza, la chiesa di San Giorgio di San Polo di Piave, la chiesa dei Templari di Ormelle.

L’amministrazione comunale di Vittorio Veneto in particolare ha inserito già dal 2009 nel suo programma amministrativo-politico proprio di avviare iniziative per incentivare il turismo religioso in collaborazione con gli istituti religiosi e i centri di ospitalità presenti nel territorio, ponendo al centro del progetto "I miracoli di Santa Augusta".

La motivazione religiosa rappresenta la principale ragione di scelta del soggiorno ed è unita al desiderio di partecipare ad eventi di natura spirituale e con il richiamo delle testimonianze culturali, spesso connesse agli interessi religiosi, emerge anche come attrattiva e motivazione di scelta.

Del resto Vittorio Veneto, che si trova proprio a mezza strada tra Cortina e Venezia, vanta oltre a Santa Augusta anche San Tiziano, patrono della città ed è nelle sue corde lo sviluppo di un turismo religioso, atteso che i dati che arrivano dal resto d'Italia sono di assoluto interesse: 5,6 milioni di presenze, di cui il 60% stranieri, mediamente adulti ma non senior e con una spesa pro capite da 51 euro al giorno.

di Alessandro Valenti

10 novembre 2012

mercoledì 14 novembre 2012

Un libro sul Papa dei 33 giorni

Il volume di Luca Antonucci su Giovanni Paolo I verrà presentato dall'autore a Casa Cini

Papa Luciani. Un lampo di stupore” è il titolo del libro, scritto da Luca Antonucci e pubblicato dalla Este Edition di Ferrara, che venerdì 9 novembre alle 17.30 sarà presentato presso il salone di Casa Cini. Il lavoro, già illustrato il 20 luglio scorso a Canale d’Agordo, il paese natale del pontefice, si basa sullo studio di come il breve papato di Giovanni Paolo I sia stato “raccontato”, nel 1978, da sei quotidiani di diversa ideologia: il Corriere della sera, Il Giornale Nuovo, La Repubblica, L’Unità, Avvenire e L’Osservatore romano. Una comparazione che oltre a fare rivivere con il taglio della “diretta” – grazie ai virgolettati dell’epoca – le scelte e le novità della rapida ma rivoluzionaria parentesi di Albino Luciani in Vaticano, consente di scoprire come gli stessi eventi siano stati declinati in maniera diversa, a volte addirittura opposta, dalle varie testate.
Il libro abbraccia i 33 giorni del pontificato, con l’aggiunta della settimana del Conclave e della settimana del funerale. L’autore, però, a completamento della ricerca non ha trascurato la vita di Luciani e il filone investigativo che si è aperto dopo la sua morte, così improvvisa, struggente e discussa. Nella presentazione di venerdì, oltre all’autore e all’editore, farà da relatore Loris Serafini, direttore della Fondazione Papa Luciani di Canale d’Agordo, la quale – nel centenario della nascita del pontefice – ha patrocinato la pubblicazione. A fare gli onori di casa, sarà il direttore di Casa Cini monsignor Ivano Casaroli.

martedì 13 novembre 2012

Il Patriarca Moraglia ricorda Albino Luciani: "Senza timori e calcoli umani, con la fortezza degli umili!"


Venezia ha ricordato martedì 30 ottobre il centenario della nascita di Albino Luciani, già Patriarca della diocesi lagunare prima di diventare nel 1978, e per soli 33 giorni, Papa Giovanni Paolo I. E lo ha fatto con un doppio appuntamento: innanzitutto alle ore 18.00, nella basilica cattedrale di S. Marco, la S. Messa presieduta dal Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia insieme ai vescovi della Conferenza episcopale triveneta; subito dopo, alle ore 20.30, il concerto di musica sacra offerto dalla Procuratoria della Basilica di San Marco, dall'Istituto Polacco di Roma e dalla Fondazione Capella Cracoviensis di Cracovia con il contributo del Ministro della Cultura e del Patrimonio Nazionale della Repubblica di Polonia e della Città di Cracovia. Il programma del concerto prevedeva le composizioni di due tra i massimi esponenti della scuola veneziana del XVII secolo: Giovanni Gabrieli, compositore, organista e maestro di cappella della Basilica di San Marco del quale ricorrono i 400 anni dalla morte (1612) e Mikolaj Zielenski, compositore, organista e maestro di cappella legato alla Collegiata di Lowicz (sede del Primate polacco). Le composizioni di Mikolaj Zielenski verranno presentate per la prima volta nella Basilica di San Marco dopo la loro pubblicazione avvenuta nel 1611 nell’officina di Giacomo Vincenti a Venezia. Ad eseguire il concerto è stato il Collegium Zielenski diretto da Stanislaw Galonski, uno dei massimi esperti nel campo dell'esecuzione e promozione della musica antica, insieme a Joel Frederiksen (basso profondo) e ai solisti dell’ensemble Collegium Zielenski.

Ecco alcuni passaggi dell riflessione del Patriarca Moraglia che, nell'omelia, ha così tratteggiato la figura di Albino Luciani: “Ma chi era questo figlio della terra veneta che divenne patriarca di Venezia e sommo pontefice della Chiesa cattolica? Albino Luciani fu un sincero e onesto lavoratore della vigna del Signore, uomo profondamente obbediente a Dio e al Suo progetto, chiamato a compiti e decisioni davvero ardue. Annunziare il Vangelo senza rinnegarlo, stare di fronte al mondo senza temerlo e senza scendere a compromessi, presiedere a una comunità cristiana ferita nella comunione, senza cedere alla tentazione di conquistarsi una facile notorietà, significa infatti caricarsi della propria parte di sofferenza. A Venezia il ricordo del patriarca Luciani è ancora vivo nel popolo di Dio e, col passare del tempo, l’affetto si unisce alla crescente stima per la sua santità: è quanto, con piacere, ho potuto constatare di persona fino ad ora. Nel messaggio d’inizio pontificato Giovanni Paolo I ha espresso in modo compiuto il suo pensiero sulla Chiesa vista come corpo vivo, realtà comunionale ed evangelizzatrice. Parlò agli uomini e alle donne di Chiesa chiamandoli, semplicemente, figli e domandò di prendere coscienza della loro responsabilità e superare, così, le tensioni interne ponendoli in guardia dalla tentazione di uniformarsi al mondo, non ricercando il facile applauso ed esortandoli con forza affinché diano testimonianza della propria fede davanti al mondo. Il fermo richiamo a prendere le distanze dalla tentazione d’uniformarsi al mondo spiega quello che fu il suo costante stile di prete, vescovo e papa. Siamo di fronte non a un generico appello all’unità ma all’effettiva comunione ecclesiale costruita attorno a Gesù Cristo e al suo Vangelo, prendendo le distanze da mediazioni che svuotano il Vangelo e portano il cristiano ad essere il “notaio” di quanto, di volta in volta, gli viene proposto. Ma così facendo si svuota il buon annuncio del Vangelo… Per quanto riguarda la breve ma densa apparizione di Luciani sulla cattedra di Pietro osservo che gli avvenimenti non ricevono senso solo dalla durata; hanno significato per ciò che rappresentano in se stessi e per la forza con cui sono capaci di generare futuro. Avvenimenti improvvisi possono produrre novità sostanziali mentre avvenimenti di lunga durata non è detto che riescano a generare novità. Come il classico “sasso” gettato nello stagno, al pontificato di Paolo VI - il cardinale italiano Giovanni Battista Montini che, per oltre trent’anni, era stato a servizio della Curia romana -, faceva seguito il brevissimo pontificato di Giovanni Paolo I, il cardinale italiano Albino Luciani, uomo del tutto estraneo alla Curia, e all’inizio non certamente tra i più accreditati candidati. Il pontificato di Giovanni Paolo I, anomalo per la sua brevità, va considerato proprio per tale fatto un inizio, un’antifona che, nella continuità della storia della Chiesa, segna una vera ripartenza. Con l’elezione a Papa del patriarca di Venezia, nato a Canale d’Agordo, di fatto mai uscito - se non per qualche breve viaggio - dal natìo Veneto e privo di ogni dimestichezza con la Curia, veniva “azzerato” uno schema che, agli occhi di molti, era ritenuto insuperabile. Per taluni Albino Luciani sarebbe stato, alla fine, solo un ingenuo e un semplice, un intransigente e una persona non all’altezza, non in grado di dire no ad un peso per lui eccessivo… Eppure in Giovanni Paolo I l’umiltà e l’obbedienza vissuta personalmente - e solo dopo chiesta agli altri -, il sincero amore a Cristo e alla Chiesa evidenziano pienamente l’animo della persona. Luciani s’impegnò sempre in un annuncio evangelico compiuto nella Chiesa e a nome della Chiesa, senza timori e calcoli umani: è questa la fortezza degli umili!”

http://www.patriarcatovenezia.it/patriarcato_di_venezia/segnalazioni/00001714_Il_Patriarca_Moraglia_ricorda_Albino_Luciani__Senza_timori_e_calcoli_umani__con_la_fortezza_degli_umili.html

venerdì 9 novembre 2012

Giovanni Paolo I. Quell'autorità alla portata di tutti


Per ricordare il centenario della nascita del futuro Papa, «L'Osservatore Romano» e il «Messaggero di sant'Antonio» hanno organizzato un convegno nell'Aula vecchia del Sinodo in Vaticano

Quell'autorità alla portata di tutti


di Giulia Galeotti


«Chi era Giovanni Paolo I? Perché affascinò immediatamente non solo i fedeli cattolici? Perché colpì così tanto il suo modo di parlare?». Con queste domande, il direttore del nostro giornale ha aperto, nell'Aula vecchia del Sinodo in Vaticano, giovedì 8 novembre, il convegno «Ostensus magis quam datus. A cento anni dalla nascita di Albino Luciani».

Organizzato da «L'Osservatore Romano» e dal «Messaggero di sant'Antonio», l'incontro -- il cui titolo è stato tratto dalla lapide sepolcrale di Leone xi, qui ad summam Ecclesiae Dei foelicitatem ostensus magis quam datus (“che per la più grande felicità della Chiesa di Dio fu mostrato più che dato” -- è stato l'occasione per ricordare (a chi visse i trentatré giorni) o per raccontare (a chi è nato dopo) chi fu veramente quell'«uomo venuto dal Veneto», e non solo per nascita. Come ha infatti ricordato Gianpaolo Romanato, Giovanni Paolo I fu «l'unico Papa, dei quattro veneti saliti al soglio pontificio dal 1789 in poi, la cui carriera antecedente l'elezione si svolse interamente ed esclusivamente nella regione d'origine». Al convegno erano presenti i cardinali Giovanni Coppa e Raffaele Farina, l'arcivescovo Angelo Becciu, sostituto della Segreteria di Stato, con l'assessore monsignor Peter Bryan Wells, l'arcivescovo Celso Morga Iruzubieta, il vescovo Giuseppe Sciacca, altri prelati e alcuni ambasciatori accreditati presso la Santa Sede.
Albino Luciani nacque a Forno di Canale (oggi Canale d'Agordo) il 17 ottobre 1912 in una famiglia poverissima, il cui peso quotidiano era retto dalla madre (come tanti altri uomini del luogo, infatti, il padre era emigrato in cerca di lavoro). Se dunque l'ambiente di origine di Luciani fu popolare, tradizionale, non ancora sfiorato dalla modernizzazione e segnato dalle difficoltà, fu però anche un ambiente in cui la Chiesa rappresentava il solo punto di riferimento.
Luciani entrò in seminario a undici anni e ne uscì prete a ventitré: vi imparò una severa disciplina di vita e una concezione pastorale della funzione della Chiesa. Una concezione fondata su tre presupposti: distacco dal mondo, obbedienza ai superiori, fedeltà assoluta all'istituzione, tre presupposti che rimasero il faro di tutta la sua vita fino al papato.
A questo quadro egli aggiunse però un tratto molto personale: l'amplissima curiosità intellettuale e l'inesauribile interesse per la lettura (un interesse -- ha ricordato Romanato -- che impensierì il suo parroco, che arrivò a «trepidare» per la sua vocazione). La catalogazione della biblioteca del paese natale compiuta dal chierico Luciani durante le vacanze estive, ad esempio, testimonia una capacità di lettura, assimilazione e giudizio inconsueti nel clero veneto del suo tempo, specie in un giovane seminarista.
L'amore per i libri diede un timbro inconfondibile alla sua azione pastorale, arricchendola di citazioni e riferimenti: per spiegare situazioni e concetti, Luciani inseriva di continuo -- si trattasse di articoli o di omelie -- reminiscenze letterarie. Esopo, La Fontaine, i fratelli Grimm, Mark Twain (il prediletto), Charles Dickens, Paul Bourget e Alphonse Daudet, Bernanos e Claudel, Chesterton, Anatole France, Papini, Solovev, Trilussa, Bernardino da Siena, Piero Bargellini e Pierre l'Ermite (né mancarono musica rock e fumetti).
Tutto questo, però, sempre restando in un disciplinato allineamento con la Chiesa del tempo: «Per quanto fosse forte in me la passione di leggere, di conoscere e di essere aggiornato -- scriverà poi -- non ero un prete di avanguardia o di frontiera; per il mio senso dell'obbedienza, della disciplina e del rispetto del Magistero del Papa e dei Vescovi». Albino Luciani non fu insomma solo un prete di montagna. «Era di più. E il di più fu il frutto dei suoi sforzi di autodidatta, delle riflessioni che veniva facendo sui libri che divorava e che allargavano lo sfondo altrimenti limitato della sua esperienza di vita» ha detto Romanato.
Da Papa, ripropose lo stile comunicativo, i temi e gli atteggiamenti che erano sempre stati suoi da quando era prete della diocesi di Belluno e Feltre. E lo fece consapevolmente: sapeva bene che con l'avanzare della sua carriera ecclesiastica il pubblico si era venuto progressivamente allargando e che, almeno in parte, aveva ben altre aspettative.
«Il primo vero esordio pubblico di Albino Luciani come Papa -- ha ricordato Roberto Pertici -- ebbe luogo la mattina di domenica 27 agosto 1978. La sera precedente era comparso alla loggia centrale della basilica vaticana e, secondo la prassi, si era limitato a impartire la benedizione urbi et orbi. Sembra che avesse espresso a monsignor Virgilio Noè, allora maestro delle celebrazioni liturgiche pontificie, la volontà di dire anche qualche parola, ma che ne fosse stato sconsigliato: il cerimoniale non lo prevedeva. Subito dopo, tuttavia, il neo-eletto aveva avanzato un'altra inusuale richiesta: che le telecamere seguissero l'indomani la sua prima mattina da Papa, l'allocuzione ai cardinali riuniti nella Sistina e poi l'Angelus recitato in piazza San Pietro. Ma se l'allocuzione ebbe un impianto ancora tradizionale (latino e plurale maiestatico), completamente innovativo fu invece l'Angelus, eccezionalmente pronunciato dalla loggia centrale. Nessuno dei giornalisti sapeva cosa il Papa avrebbe detto, perché l'ufficio stampa vaticano non aveva distribuito alcun testo. Ci si attendeva che qualcuno gli mettesse in mano un discorso preparato e invece il Pontefice iniziò a parlare a braccio. Non usò alcun incipit tradizionale, ma cominciò, come si direbbe in gergo giornalistico, al netto: “Ieri mattina io sono andato alla [cappella] Sistina a votare tranquillamente. Mai avrei immaginato quello che stava per succedere”».
Il brevissimo pontificato di Luciani, il Papa capace di parlare a braccio senza che però questo significasse mai improvvisazione, ha determinato -- lo ha dimostrato chiaramente Pertici -- un cambiamento radicale e irreversibile nei modi della comunicazione pontificia.
Precocissimo giornalista (nel 1960 si sofferma a lungo su «la parola di Dio “incartata”», cioè sulla possibilità di fare dei giornali un veicolo di evangelizzazione) e poi Papa a suo agio davanti alla telecamera, Luciani fu «in toto un uomo del Novecento». Ebbe sempre la consapevolezza del ruolo centrale del sistema mediatico nella vita contemporanea e della necessità che laici ed ecclesiastici se ne servissero per la loro attività di apostolato.
Non ignorando la pressione che ormai i media riuscivano a esercitare anche nel mondo cattolico, volle trovare altri mezzi per comunicare: e «li individuò nella confidenza e, al tempo stesso, nel rispetto che, proprio per quell'atteggiamento inedito, riusciva a ispirare. Si propose come il simbolo di un'autorità ormai alla portata di tutti, ma che proprio su questo tratto di comprensione e di umanità personali, poteva ribadire con chiarezza e con forza i principi della fede cristiana».
Universalmente noto come il Papa del sorriso, Luciani sapeva benissimo di vivere in un momento non facile. «Cyrano de Bergerac -- scrisse nel 1977 -- ebbe una tentazione: farsi dei nemici a ogni costo. Ciò per reazione: vedeva troppa gente farsi amici a costo di sacrificare la coerenza e la stessa decenza. La tentazione di Cyrano, quasi quasi, ritorna». Luciani sapeva -- ha proseguito Pertici -- che le sue polemiche gli stavano facendo il vuoto intorno, ma non tentennava: «Cosa fareste al mio posto? Dovrei interdirmi ogni accenno agli errori o alle opinioni pericolose messe in giro? Mi pare di no, tradirei la mia missione e il popolo cristiano, il cui primo diritto è di sapere con chiarezza quali sono le virtù rivelate da Dio». Ma in Luciani la contrapposizione al mondo non ebbe mai i toni da crociata di tanta pastorale del tempo. Il suo fu sempre uno stile diverso, leggero e mai arcigno.
Questo stile era già presente nella rubrica (presto divenuta popolarissima) che il patriarca di Venezia tenne dal maggio 1971 su il «Messaggero di sant'Antonio», di cui è stato -- stando al suo attuale direttore, padre Ugo Sartorio -- «il più illustre collaboratore». Immediata la scrittura e originale la formula: lettere a personaggi storici, come san Bernardo, e fantastici. A Penelope, ad esempio, il vescovo Luciani scrisse per ben tre volte. Concluso il quadriennio di collaborazione, si decise di raccogliere le quaranta lettere nel libro Illustrissimi, la cui quarta ristampa -- lo ha ricordato padre Sartorio -- uscì pochi giorni dopo la morte di Luciani, con la prefazione di padre Angelo Beghetto (allora direttore del mensile veneto): «Questa quarta ristampa di Illustrissimi esce mentre tutti siamo ancora coinvolti nel mistero della morte di Papa Albino Luciani. È un'edizione che assume un particolare significato perché egli stesso ha voluto rivedere il suo libro e apportarvi alcune correzioni, pochi giorni prima di lasciarci. Forse era presagio che questo sarebbe stato il suo testamento umano, spirituale e pastorale».
Cinque allocuzioni domenicali, quattro catechesi e dodici discorsi costituiscono l'insieme delle quattro settimane di dottrina di Giovanni Paolo I. Ma di tutte le sue parole, la frase che è passata alla storia è l'affermazione contenuta nell'Angelus del 10 settembre: «Dio è papà; più ancora è madre». Su questa espressione si è in particolare soffermata con finezza e profondità Sylvie Barnay.
«Colpisce constatare come la rete di metafore che attraversa gli scritti del futuro Giovanni Paolo I privilegi nettamente quelle della paternità, della maternità, della coniugalità e dell'infanzia. Lungi da ogni forma di aneddotismo -- ha spiegato Barnay -- questa struttura portante sembra testimoniare una più profonda formulazione dottrinale sui rapporti tra Dio e l'uomo alla luce di un'antropologia della genitorialità. Le due funzioni complementari che ognuna delle figure parentali per tradizione esercita sono qui chiaramente esposte: l'affetto materno e l'autorità paterna. Conciliarle è indispensabile. Nessuna affermazione dottrinale può essere fatta senza il ricorso alternativo a questi due atteggiamenti di genitorialità, facendo attenzione a non confondere i ruoli e i generi».
Presentando la visione di un Dio madre «ancor più» che padre, Luciani non ratificò in nulla le teologie femministe, ma si inserì invece -- come ha dimostrato Barnay -- nel solco di una tradizione antica (sembra sia stato Clemente Alessandrino il primo padre della Chiesa a stabilire un parallelismo tra paternità e maternità di Dio). Utilizzando un'analogia familiare -- e avendo probabilmente in mente l'esempio materno (Romanato) -- propose innanzitutto un'immagine di Dio che scaturisce da un'immagine dell'umanità nella sua totalità, comprendendo le caratteristiche dei due sessi. Dio è padre e madre nel rapporto con le sue creature.
Un altro punto affrontato variamente dai relatori è stato quello -- cruciale -- del rapporto di Luciani con il Vaticano II. Pur non avendo mai preso la parola in aula, egli aveva vissuto intensamente la vicenda conciliare: l'incontro con vescovi di ogni parte del mondo, di lingue e culture molteplici, il confronto con culture teologiche ed ecclesiali diverse, incise sulla sua personalità. «Io sono un convertito del Concilio», era solito ripetere ai suoi diretti collaboratori, anche se -- lo hanno ricordato sia Romanato che Pertici -- fu restio a concepire l'evento conciliare all'insegna della discontinuità e della rottura con la precedente vita della Chiesa. «Era un vescovo che credeva nel concilio ma ne rifiutava gli eccessi, che interpretava l'autorità con garbo e gentilezza, ma senza rinunciare a nessuna delle sue prerogative» (Romanato).
Già la scelta del nome, del resto, era stata eloquentissima: scegliendo di chiamarsi come i due predecessori, affermò subito che il suo obiettivo era di ricevere e trasmettere l'eredità del concilio. Una sfida di tutto rispetto, da gestire evitando tanto le fughe in avanti dei novatori, quanto le fughe all'indietro dei tradizionalisti.
Chi fu dunque davvero Giovanni Paolo I? Chi fu davvero quel Papa capace di sorridere anche con i suoi inconfondibili occhi vispi e profondi? Priva di senso la scultura edificata per decenni su ignoranza, sensazionalismo e luoghi comuni, e che ha raffigurato quei trentatré giorni attraverso l'immagine del Papa di campagna, bonaccione e umile, assassinato nel sonno dagli intrighi dei palazzi vaticani (un aspetto, quest'ultimo, indagato dallo scrittore spagnolo Juan Manuel de Prada, che ha individuato le origini di questo “sottogenere letterario” nel londinese William Frederick Rolfe, soprannominato Baron Corvo, autore del romanzo Adriano VII del 1904).
Il sacerdote umile, dimesso, gentile e poco appariscente, infatti, nascondeva in realtà una personalità originale, una cultura autodidatta solida e profonda, una inconsueta curiosità intellettuale, una consapevolezza della modernità maturata attraverso una vita intera vissuta osservando il mondo dal basso e non dall'alto. Era un vescovo tradizionale, ma capace di guardare con occhio lucido al nuovo che veniva avanti: assicurare il rinnovamento della Chiesa, nella continuità dell'istituzione. Tradizione e vitalità al contempo.
«Albino Luciani è stato davvero un uomo ostensus magis quam datus. È stato, nella sua brevissima apparizione, una visita di Dio alla sua Chiesa» ha esordito, tirando le fila della giornata, il suo attuale successore a Venezia, il patriarca Francesco Moraglia. «Questo figlio della terra veneta -- ha proseguito -- fu un uomo di fede, un credente, un sacerdote che cercò sempre di annunciare il Vangelo senza rinnegarlo, senza scendere a compromessi. È questa la luce che lo ha illuminato da quando era un giovane seminarista fino al Papato».
Certo, il tempo del Pontificato di Giovanni Paolo I è stato davvero breve («e noi esseri umani fatichiamo sempre a comprendere i fatti troppo brevi», ha detto il patriarca). «Se questo solido figlio del cattolicesimo veneto -- aveva concluso Romanato -- sarebbe stato un vigoroso uomo di governo come Pio X, un geniale innovatore come Giovanni XXIII o un arcigno conservatore come Gregorio XVI, rimane quesito cui è impossibile rispondere».
L'unico fatto certo è che il suo brevissimo pontificato è servito ad aprire la strada a una vera rivoluzione: l'accesso al soglio pontificio, dopo quasi mezzo millennio, di un vescovo non italiano. A ricordarlo sono stati in particolare Romanato e il patriarca Moraglia. Lo aveva già scritto nel 2004 il cardinale Ratzinger che, nell'agosto 1978, era stato uno dei suoi elettori.


(©L'Osservatore Romano 9 novembre 2012)